Dopo aver parlato dei Fondi strutturali europei, Curzio Maltese, ne La Questua, a p. 79 aggiunge: «Una volta ristrutturati con i soldi pubblici, molti beni ecclesiastici vengono poi messi sul mercato e venduti per trasformarli in alberghi, realizzando così per la casa madre, il Vaticano, colossali profitti». Le “trasformazioni” (in linguaggio tecnico: cambi di destinazione d’uso) sono frequenti e documentate (Maltese, a p. 80, cita l’esistenza di diverse centinaia di casi), e portano cospicui vantaggi economici alle realtà ecclesiastiche.
Si veda, a mero titolo di esempio, il caso nel piccolo comune di Rivalta di Torino, in cui la parrocchia dei Santi Pietro e Andrea, proprietaria di un terreno agricolo di 9 mila metri quadri con destinazione agricola, ha deciso di venderlo, chiedendo però prima al Comune di renderlo edificabile, in modo da avere un milione e mezzo di euro per i lavori di ristrutturazione dell’oratorio (cfr. Ultimissima del 19 ottobre 2011). Su scala ben più vasta l’iniziativa immobiliare avviata dalla curia di Verona, e giustificata con un asserito buco di bilancio di circa 18 milioni di euro: vendita di due terzi dell’area di 387mila metri quadrati del seminario di San Massimo, con abbattimento dei palazzi del Seminario minore e delle mense; secondo L’Arena dell’1 giugno 2008, la diocesi conta di introitare circa 60 milioni di euro dalla trasformazione dell’area, ribattezzata “Ecoborgo”, in edifici residenziali, direzionali e commerciali.
Operazioni di questo tipo sono frequenti soprattutto per i cambi di destinazione d’uso dei conventi, sempre meno utilizzati per i propri fini istituzionali, e per così dire “vocati” a diventare alberghi. Ma non mancano strutture di altro tipo: a Ravenna, la trasformazione in albergo di lusso di un orfanotrofio con i fondi stanziati per il Giubileo, solo tardivamente ratificata dall’amministrazione locale, ha portato il vescovo e il tesoriere della diocesi a essere indagati per malversazione (cfr. Ultimissima del 4 novembre 2011). A Salerno una vicenda analoga è terminata con la condanna di vescovo e diocesi. I vantaggi economici ottenuti in tutta Italia dai diversi enti ecclesiastici possono ben difficilmente essere inferiori a 150 milioni di euro.